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Innovazione e sviluppo
Come l’Istruzione Superiore può aiutare lo sviluppo dell’Isola? Una serie di considerazioni per la terza pagina de l’Unione Sarda.

CULTURA E NUOVE TECNOLOGIE CHIAVI DELLO SVILUPPO SARDO

 
PARTE A
  1. Le quattro gambe della economia sarda

 

Quale è il ruolo che la cultura e le tecnologie avanzate possono giocare in futuro nella nostra isola?
Noi pensiamo che l’economia sarda debba reggersi, come ogni buona stabile sedia, su almeno quattro sostegni, di cui la più importante è proprio quella citata in epigrafe. Il motivo?
Perché il mercato del lavoro contemporaneo richiede sempre più un maggior numero di persone con livelli elevati di conoscenza e abilità al fine di sostenere un’economia in espansione basata su conoscenze specifiche. Il successo di una regione dipende dalla ampia disponibilità di persone capaci di agire oltre i confini locali ed oltre le barriere culturali. L’inserimento del sistema della formazione/istruzione della Sardegna in una dimensione europea/internazionale deve essere sentito come una necessità economica pratica, a prescindere dalla sua auspicabilità per motivi culturali e sociali.
Vediamo in sintesi tutte e quattro i sostegni citati in sequenza.

  1. Il turismo, capace di volare da solo se non si ostacolano con una preconcetta opposizione i nuovi investimenti in nome della nota BANANA politics (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anybody) degli ambientalisti estremisti ed antiprogresso. L’Aga Khan ad esempio è stato formato all’impresa turistica dallo sviluppo urbanistico della Costa Azzurra, dove giardini ville alberghi boschi si fondono in una splendida armonia che fa di quella zona della Francia una delle più belle al mondo (vedere il confronto con la contigua riviera ligure!). Egli ha importato quel modello nella Costa Smeralda, non a caso in grado oggi di soppiantare nel cuore del jet set (che trascina la media piccola borghesia -turismo di fascia medio alta e denaro- per emulazione!). Quel modello, al di là di un ragionieristico conteggio di metri cubi costruti, è alla base del nuovo master plan stoltamente contrastato dall’attuale RAS.
  2. I prodotti agro-alimentari ed artigianali associati e vendibili al flusso turistico. La loro valorizzazione è solo un problema di marketing moderno (Gavino Sanna?) che non può essere fatto da burocrazie della Regione (enti strumentali RAS al turismo). Ogni turista deve avere nella valigia al rientro e sulla propria tavola ogni giorno formaggio salciccia vino liquore sardo, status symbol di una nuova cultura dello stare e mangiar bene, meglio dello champagne, del beaujolais, del camembert. Solo i grandi pubblicitari possono lanciare la Sardegna e i suoi prodotti, oltre all’Aga Khan che ci ha fatto pubblicità gratis per anni! Va da sé che i prodotti devono essere in linea con gli standard igienici europei, che i trasporti devono essere più efficienti di quelli da e per il Colorado, che l’acqua stoccata o dissalata deve consentire ad ogni turista tre docce al giorno, ed i porti devono accogliere e rifornire tutti i diportisti del mondo meglio di Marsiglia dove Agnelli tiene le sue barche.
  3. L’archeologia minerario/industriale capace di suscitare turismo colto anche nelle basse stagioni, occasione per trarre un utile economico facendo conoscere al mondo la antica storia dell’isola ma anche le fatiche della prima industrializzazione, nei siti che solo in Sardegna sono stati preservati quasi intatti e che rappresentano in nuce uno splendido parco archeologico industriale
  4. Le piccole e medie imprese, e tra queste le aziende di beni “virtuali” e servizi tecnologici avanzati.

 

  1. Perché non è probabile una nuova rivoluzione industriale in Sardegna, a meno che…

Siamo quindi alla quarta e più importante gamba della sedia.
E’ scontato che le infrastrutture del futuro saranno informatiche, già oggi creano ricchezza e posti di lavoro. La commissione europea prevede che nei prossimi 10 anni il 30% di nuovi posti sarà nel settore comunicazione/software.
La terza rivoluzione industriale dei satelliti, computers a basso costo e reti telematiche senza confini è già in atto. Possiamo esserne protagonisti o spettatori passivi mentre altri, padroni dei nuovi strumenti di potere e governo, decidono anche per noi il futuro.
La società dei computer è alla nostra portata molto più di quanto lo sia una seconda rivoluzione industriale della energia a basso costo e dei beni di largo consumo. Perché?
Perché le grandi industrie richiedono una classe imprenditoriale manageriale ed operaia diffusa addestrata alla produzione secondo standard di qualità, senza la quale non si compete e si fallisce. La Sardegna non la ha, il processo formativo che la produce è lungo e richiede anche una generazione. Potrebbe averne una di importazione solo se si ricorresse a vere agevolazioni fiscali, flessibilità del lavoro, costi bassi dei servizi. Solo se la Sardegna sapesse contrattare con il Governo centrale una vera autonomia di fatti certi: tasse sugli utili aziendali al 30% ulteriormente ridotti per le piccole imprese con fatturato inferiore ad un quid stabilito (un miliardo? ), basse tariffe per energia elettrica, combustibile e telecomunicazioni, costo del lavoro diretto inferiore a quello medio nazionale e contributi sociali abbattuti al 10%, altro che 35 ore!
Cose possibili solo se l’Italia fosse organizzata secondo un sistema realmente federale e se la Sardegna al suo interno si ritagliasse uno spazio ancora più autonomo. Lo ricordiamo perché non tutto quello che si vorrebbe fare può essere fatto in quanto esistono ostacoli che si chiamano in matematica condizioni al contorno, e che in politica appaiono come barriere d’ordine statuale.
Ma su questa strada il governo dell’ulivo non si muove. Perché preferisce accontentarsi del farraginoso meccanismo dei contratti d’area gestiti dai sindacati e concessi dal governo per limitatissime zone blindate. Perché trova più conveniente deviare l’attenzione su megaprogetti irrealizzabili e antieconomici quali la metanizzazione della Sardegna. Perché manca di capacità progettuale indirizzata ad impiegare i finanziamenti europei per migliorare le infrastrutture ed abbassare il costo dei servizi. Perché preferisce far fuggire gli imprenditori “nemici” in favore di capitale “amico”, perché è ostaggio dell’ecologismo estremistico e antiprogresso.

  1. La rivoluzione della informatica

 

Altre aree marginali ed industrialmente più deboli della Sardegna hanno capito che la rivoluzione industriale non è sufficiente al salto fuori dal ritardo di sviluppo. Paesi in Europa, Irlanda e Galles, in Oriente ed America Latina, già partecipano alla creazione di software, di banche dati innovative, di modelli per simulare fenomeni complessi e di prodotti ipermediali per la formazione avanzata. I paesi baltici ad esempio, poco abitati (meno di nove milioni di anime tra Estonia, Lettonia e Lituania) privi di materie prime se non il legno di betulla e pino, marginali e lontani dai grandi flussi tecnologici ed economici, con il supporto della Unione Europea hanno fatto grandi investimenti nelle reti e nelle telecomunicazioni. Noi universitari isolani ad esempio, abbiamo contribuito ad installare un Centro di Tecnologia Computazionale a Riga. In tre anni, più di cento professori e studenti sono stati addestrati all’uso di sofisticati strumenti hardware e software. Oggi il Centro si avvia all’autofinanziamento ed è già in grado di fornire consulenze di alto profilo ad imprese multinazionali. L’iniziativa è costata alla Commissione Europea meno di un miliardo di lire. Abbiamo però creato alcuni posti di lavoro ed un Centro di eccellenza capace di produrre ed usare sofisticati prodotti software. Nello stesso tempo il Centro è diventato una fabbrica di cervelli.
La Sardegna si è mossa prima di altri, grazie ad una delle poche iniziative illuminate di una Giunta Regionale della prima Repubblica e a Video on Line. Perchè allora non progredisce più in questo settore, come mai non siamo i principali produttori nazionali di materiale ipermediale, malgrado gli investimenti fatti in passato? Bisogna dire che cablare il territorio con fibre ottiche ed avere molti computer è una condizione necessaria per la terza rivoluzione industriale, ma non sufficiente; così come le grandi infrastrutture realizzate dalla cooperazione occidentale all’estero non hanno fatto necessariamente decollare i paesi in ritardo di sviluppo.

  1. Capitale umano, capitale umano ed ancora capitale umano…

 

La risposta è nel capitale umano: i giovani cervelli stanno alla società dei computer come il management industriale e gli operai specializzati stanno alla seconda industrializzazione. Se vi sono gli uni e gli altri, la crescita economica è possibile. Altrimenti, si rimane ai blocchi di partenza.
Il problema delle produzioni “virtuali” e delle tecnologie avanzate in Sardegna è qui: addestrare i giovani e riaddestrare gli adulti. Tutto sarà più chiaro se riconosceremo di avere un problema di deficit di “cultura” in senso lato. Dobbiamo capire che le competenze professionali avanzate basate sull’uso diffuso delle nuove tecnologie sono diventate gli strumenti del potere moderno. L’importanza che la cultura scientifica sta acquisendo in questo fine-secolo non ha confronti con la nostra storia passata. La pressione del commercio mondiale costringe anche la Sardegna verso una economia basata su competenze all’avanguardia. Senza di queste, non si raggiungono gli standard di qualità imposti ormai ad ogni manufatto dagli organi di certificazione sovranazionali.
Il sistema educativo quindi deve aiutare giovani ed adulti ad acquisire le conoscenze di cui sono privi.
E scuola ed università, sistema formativo in senso lato, sono in grado di soddisfare le richieste di competenze all’avanguardia? Sembrerebbe di no; anche in Europa il tasso di disoccupazione giovanile è molto alto se confrontato con Giappone e Stati Uniti, ed in Italia esiste la disoccupazione intellettuale di tanti laureati. I valori della disoccupazione sarda, sopra il 20%, sono sotto gli occhi di tutti. Evidentemente c’è un divario tra l’istruzione che il sistema economico richiede per essere competitivi e l’istruzione che viene impartita, ad ogni livello.
Recentemente 45 grandi industrie europee hanno condotto una indagine sulle competenze che le aziende ritenevano necessarie per il mondo del lavoro di oggi. Furono individuate molte aree di inadeguatezza nella preparazione professionale. La conclusione dell’indagine era drammatica, tanto da suscitare un grido di allarme degli industriali rivolto alle autorità europee della istruzione.

  1. perché il sistema educativo non funziona…

 

Secondo gli industriali il sistema educativo è centralizzato ed oppresso da troppa burocrazia, impenetrabile alla domanda esterna di cambiamento. Esso è legato a sistemi nazionali non armonizzati tra loro i cui titoli non hanno riconoscimento se non all’interno dei confini del paese. Troppo tempo è dedicato ad organizzare l’insegnamento secondo la tradizione conosciuta, senza interrogarsi su come insegnare differentemente tenendo conto dei cambiamenti nella realtà esterna alla scuola, il contatto con la quale sembra debole o assente addirittura. Attrezzature scientifiche e didattiche sono poche e di modesta qualità.
E’ innegabile che non possiamo continuare a formare i giovani su professioni che non hanno mercato. Essi si aspettano di trovare lavoro immediatamente. Ma se quello che gli è stato insegnato non è ciò che l’economia richiede, se la loro qualificazione viene rubricata come “modesta” o “irrilevante”, vuol dire che qualcosa non funziona. Vuol dire che vi è una mancanza di comunicazione tra chi deve istruire e chi deve assumere. Vuol dire che non si formano i giovani nelle discipline dove realisticamente vi è una opportunità di impiego. La conseguenza grave è la disillusione nei confronti del sistema, un sentimento di frustazione, la constatazione di aver speso tempo e denaro inutilmente.
In Sardegna la situazione è drammatica. A causa dell’isolamento geografico, ai sardi è preclusa anche la possibilità di scelta e l’offerta culturale è di tipo monopolistico. Ci chiediamo: scuola, università ed enti formativi da soli devono avere il monopolio della formazione dei giovani? Forse che la poca impresa competitiva in Sardegna il CRS4 Remosa Video on Line, ecc. non hanno diffuso cultura? Ed i tanti imprenditori che in Sardegna hanno innovato portando le loro aziende al confronto sul mercato internazionale, non hanno da insegnare cultura imprenditoriale? Questa cultura è fondamentale per creare impresa e la scuola non la può insegnare. E’ tempo di ripensare il sistema formazione/educazione avvicinando impresa e mondo dell’istruzione.

  1. e come potrebbe funzionare

 

E’ tempo di rendersi conto che in Sardegna abbiamo tre deficit, di cultura imprenditoriale, di conoscenze avanzate e di dimensione internazionale.
La risposta alla marginalizzazione e alla dequalificazione sta quindi nell’affiancare alle scuole ed università il mondo dell’economia. Decentralizzazione e autonomia degli istituti, coinvolgimento dei rappresentanti del sistema produttivo nel processo decisionale devono essere le nuove parole d’ordine. Bisogna consentire una maggiore elasticità dei programmi e titoli impartiti, e va sempre cercato l’inserimento nelle grandi reti europee ed internazionali della istruzione. Gli insegnanti vanno preparati attraverso esperienze di vita e lavoro in altre scuole ed imprese, possibilmente all’estero. E’ scontato che le dimensioni dell’economia, del lavoro, della politica, della cultura sono ormai globali.
Non si tratta solo di insegnare le lingue e la storia degli altri paesi ma di aiutare i giovani sardi a capire in concreto come comunicare attraverso barriere culturali, come apprendere - guardando da altri punti di vista - e come lavorare e muoversi in mezzo alla grande diversità del pianeta. La diversità delle culture è un potente elemento per la fertilizzazione trasversale delle nuove idee e competenze.
Molti nuovi posti di lavoro in Europa saranno nell’ambito della comunicazione. Ne consegue che dobbiamo istruire i giovani sardi prevalentemente in questo settore? Sarebbe un grosso errore! Le competenze specialistiche, una volta acquisite, diventano rapidamente obsolete ed hanno bisogno di essere rinnovate. Sempre più essenziale è diventato superare l’inadeguatezza della istruzione di base, allargare la cultura dei giovani stimolando e sviluppando nuove competenze ad ampio spettro e fornendo ad essi abilità tecniche e conoscenza delle lingue straniere. La chiave per rimanere competitivi è di avere una forza lavoro che continuamente si aggiorna ed impara nuove tecniche.
Ma la opportunità dell’istruzione continua anche in età avanzata deve essere alla portata di chi la voglia cogliere. Un nuovo mercato si apre per chi lo saprà occupare.
Non è azzardato immaginare che in futuro nuove istituzioni dell’istruzione si affiancheranno a quelle di oggi, sorta di università “virtuali”, o college “microsoft” che trasmetteranno nell’etere o via cavo i corsi che giovani ed adulti potranno ricevere a casa attraverso i loro computers e TV, opportunamente dotati di interfacce grafice e “joy stick”. Istituzioni estremamente dinamiche nel riadattare l’offerta in funzione della domanda, attrezzate di studi televisivi e terminali di potenti computer capaci di avanzate simulazioni. Le isole del mediterraneo, la Sardegna in prima fila, non dovranno essere impreparate a cogliere l’offerta.
La tecnologia diffusa omologherà la Sardegna cancellandone la specificità culturale? No di certo, però il cittadino moderno - senza dimenticare le proprie radici - è un abitante del villaggio, dove occidentali ed orientali, del nord e del sud del mondo si incontrano, comunicano e fanno affari assieme. Egli deve pensare criticamente distinguendo tra fatti e pregiudizi, ed essere in grado di adattarsi a soggiornare in paesi diversi dal proprio, abile nella comunicazione per trasmettere le proprie idee.
E poi, la capacità di rapporto interpersonale avrà ancora più importanza: saper lavorare in gruppo, avere senso di responsabilità, essere tolleranti per gli usi e costumi diversi dai propri, avere voglia di rischiare, spirito di iniziativa, curiosità, creatività, desiderio di raggiungere l’eccellenza.
Per raggiungere questa “educazione” che è anche formazione del carattere, lo studio dei classici, della storia, delle lingue antiche e moderne, delle proprie origini, lingua e cultura sarà sempre più importante.

  1. superare i deficit di di cultura imprenditoriale, di conoscenze avanzate e di dimensione internazionale

 

Superati i tre deficit culturali di cui si è detto l’economia della Sardegna migliorerà? forse. Certo è che non vi sarà rinascita senza un robusto investimento nell’educazione dei sardi. E’ anche necessario che la classe politica venga rinnovata: non si tratta di fare generico atto di “nuovismo”, ma le rappresentanze politiche non dovrebbero essere le stesse che governano la regione da decenni con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Nel secolo passato e sino a tutti gli anni ‘60, i politici erano estrazione di una classe di notabili e professionisti che almeno portavano nella loro azione l’esperienza conquistata sul campo. A questa classe purtroppo si è sostituita negli anni ‘70 la schiera dei politici dalla “culla alla bara”, iscritti ai partiti già in pantaloni corti per i quali, salve tante lodevoli eccezioni, la politica è solo un posto di lavoro ben retribuito per difendere il quale si è costretti continuamente a gratificare la propria clientela elettorale. Da questa classe politica non ascoltiamo altro che generiche e virtuose parole a fronte di una sostanziale incapacità di decidere, di scegliere, di progettare sommata alla pretesa di estendere la propria mano morta a tutta la società ed economia. Cadute le ideologie, persistono gli ideologi, mentre si deve capire che la politica moderna è pragmatismo, capacità di risolvere i problemi non crearne, fornire opportunità, fare - come diceva Carlo Rubbia - “qualcosa”, non parlare astratto. Verrebbe da parafrasare Alberto Sordi: “governa come magni”. Standard di qualità devono essere alla base della amministrazione pubblica come della impresa. Normative confuse, proliferazione di enti strumentali, di presidenze, di consorzi, guidati da politici di seconda e terza fila, senza competenze specifiche, non ubbidiscono ad alcuno standard. Bastano pochi amministratori politicizzati in un Consiglio per mandare a fondo le migliori intenzioni e non è “qualità” un terzo del mandato del Presidente Palomba sprecato in crisi regionali. Ormai è chiaro a tutti che anche in politica il tempo non è una variabile indipendente.

In conclusione, migliaia di giovani delle scuole secondarie e delle università devono con il supporto economico della Regione, studiare o lavorare all’estero almeno un anno, presso famiglie i più piccoli, in appartamento o case dello studente con altri giovani i più grandi. Tornerebbero padroni di un’altra lingua, più sicuri di sé, magari con una esperienza di lavoro o professionale spendibile a casa propria. Qui però dovrebbero trovare un ambiente fertile per mettere a frutto quello che hanno imparato e senza perdere i contatti con gli amici stranieri. Anzi la Regione dovrebbe stimolare la reciprocità facilitando l’accoglienza di giovani stranieri in visita.
Ogni scuola sarda dovrebbe essere cablata ed un computer assegnato ad ogni allievo. Non solo, anche i quartieri più poveri dovrebbero avere, nelle parrocchie, nelle biblioteche, nelle sale da gioco, dei terminali collegati ad internet di uso pubblico sotto l’assistenza iniziale di giovani laureati più esperti. Il linguaggio dei computer diventrebbe così il terzo linguaggio dopo l’italiano ed il sardo.
Esistono già i programmi Europei ed Internazionali volti al superamento della marginalizzazione, solo per citarne alcuni: SOCRATES, ERASMUS, LEONARDO, KOMENIUS, TEMPUS, Fullbright, Nuova Agenda Transatlantica “Barriers and Bridges”. Il segreto è fare di operazioni fino ad oggi di elite, una opportunità invece per una più ampia massa di giovani.
Chi ha la responsabilità della istruzione e formazione in Sardegna – Rettori, Presidi, Direttori, Presidenti - dovrebbe essere sottoposto ad una politica di incentivi ottenibili solo a fronte di risultati nella internazionalizzazione; un limite adrebbe posto ai finanziamenti regionali che oggi vanno principalmente in edilizia ed a ricerche di più o meno acclarato valore (per le quali sono disponibili altri finanziatori anche pubblici nazionali e non) mentre il budget RAS dovrebbe essere orientato al miglioramento della didattica e della dimensione globale.
I politici di oggi e domani dovrebbero fare un atto di umiltà e capire che lo sviluppo non viene solo dalle loro politiche di piano ma dall’azione anche scoordinata di centinaia di migliaia di persone tra milioni, che hanno maturato competenze, che sono di casa in ogni città, che lavorano duro, innovano, producono, creano occasioni di impiego anche per altri e che hanno bisogno di non essere ostacolate. Semmai devono essere valorizzate ed emulate. Di questo ceto produttivo sardo, se la RAS saprà investire in una grande iniziativa per accrescere il capitale umano attraverso la cultura, siamo sicuri che in dieci anni si potranno contare a migliaia imprenditori, professionisti, funzionari, scienziati, artigiani che saranno delle formidabili risorse umane.
La rinascita della Sardegna sarà nelle loro mani.

 

PARTE B

  1. alcune idee per il futuro prossimo

 

Si è detto che in Sardegna il sistema della istruzione/formazione –che sempre più spesso chiameremo “scuola” o “cultura” nelle accezioni più estese- può dare un grande contributo all’aggancio del sistema regionale a quello europeo ed aiutare il progresso economico, sociale e culturale della nostra isola. E’ necessario però che ci sia una revisione delle attività degli istituti preposti a ciò soprattutto per i rapporti che essi intrattengono con gli enti economici e le imprese –locali, nazionali, europee- con gli altri istituti della UE, con la commissione europea. Quindi da un lato il sistema della istruzione/formazione sardo sempre più deve acquisire una dimensione transnazionale ben più solida di quella attuale, e dall’altro deve diventare catalizzatore e promotore di azioni comuni di cooperazione con il sistema produttivo isolano volte a consentire una sempre maggiore capacità di quest’ultimo ad operare e competere nel grande mercato interno europeo.
I settori critici di sviluppo futuro del sistema “scuola” sono i seguenti:
-partecipazione e accesso all’istruzione normale e superiore
-istruzione continua
-istruzione aperta e a distanza
-dimensione internazionale dell’istruzione superiore
--compartecipazione con la vita economica
Il primo punto vede la Sardegna indietro rispetto alla media nazionale. Si producono troppo pochi diplomati e laureati soprattutto nelle discipline che hanno maggiore richiesta: periti meccanici ed elettronici, tornitori, saldatori, gruisti (porto canale) ingegneri meccanici elettrici ed elettronici, economisti, chimici, fisici. E’ necessario incentivare le iscrizioni a scuola ed università dei più meritevoli attraverso prestiti d’onore, borse di studio, accoglienza nelle case dello studente che dovrebbero avere una capienza tripla rispetto alla attuale. Vanno potenziate le iniziative volte all’orientamento attraverso la compartecipazione delle parti sociali, soprattuto imprese ed enti economici. I giovani devono essere informati sulle scelte che offrono reali sbocchi e su quali siano gli interessi del mondo produttivo.
Nel contempo il sistema delle tasse di iscrizione dovrebbe essere fortemente incrementato per i nuclei di reddito medio alto. Dovrebbe valere la regola di semplice logica che dice: se le tasse degli studenti frequentanti non coprono i costi della loro istruzione, almeno in ragionevole misura (il 20% ad esempio, mentre oggi in Sardegna sono meno del 7%), vuol dire che il costo della istruzione è sulle spalle delle famiglie che non ne usufruiscono. E nessuno Stato può oggi permettersi di istruire gratis oltre i 16 anni.

Quale istruzione?
- nel settore delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. Le proiezioni dicono che il settore avrà una crescita futura superiore al PIL ed è suscettibile di diventare il più importante settore industriale ed anche il più diffuso con due impieghi su tre nuovi che si varranno dei suoi prodotti e servizi
-nel settore delle plurispecializzazioni all’interfaccia tra diverse discipline quali, biomedica, bioingegneria, ingegneria gestionale, vendite e marketing, gestione d’affari, produzione e garanzia di qualità, artigianato tecnico plurispecializzato. Soprattutto quest’ultimo settore una volta molto florido anche in Sardegna è in forte difficoltà per la ridotta valorizzazione sociale dell’artigiano e per la crisi dell’apprendistato.
La somministrazione di tale istruzione richiede nuove energie ben selezionate (e pagate) tra i formatori. Si tratta infatti di fornire nuove specializzazioni ingegneristiche, scientifiche e tecnologiche, ma anche specializzazioni ibride interdisciplinari quali quelle che si ottengono tramite studi di ampio respiro, per esempio sugli effetti sociali e tecnici della scienza informatica o studi sulla protezione ecologica o studi sull’influenza della tecnica dell’uomo sull’ambiente e sulla salute.

Chi fornisce questa istruzione?
Si dice che la competenza sulla scuola è in parte della provincia, e per le università dello Stato. Una organizzazione federale dello Stato però comporta che anche per la scuola siano gli enti locali ed economici ad esserne gli interlocutori principali. Non siamo ancora ad un’organizzazione privatistica dell’istruzione, perché non esistono le forze economiche per “comprare” la scuola, però essa è -specie in Sardegna- l’unica infrastruttura di ricerca e formazione a cui si rivolgono i giovani e a cui si dovranno rivolgere domani gli adulti. Le scuole devono quindi, sotto la guida delle parti sociali e dei poteri locali, attrezzarsi per insegnare non solo le discipline di base ma anche quelle che avviino al lavoro ma che soprattutto combattano l’esclusione dei sardi dalla società tecnologicamente avanzata.

 

In particolare, la maggiore compartecipazione con la vita economica può essere ottenuta con un rapporto più stretto fra università ed industria. Una via deve essere il potenziamento dei consorzi di formazione tra università ed imprese per la realizzazione di una maggiore coerenza e di un miglior cordinamento dell’interfaccia istruzione superiore/industria nei settori della formazione avanzata, della ricerca applicata e dei risultati ed applicazioni della ricerca.

 
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