Caro Direttore,
durante la visita di Scalfaro per il cinquantenario dello Statuto non ho potuto fare a meno di provare un senso di imbarazzo per la patetica recita che il Presidente della Giunta, i suoi Assessori ed un gruppo di operai inconsapevoli hanno allestito a villa Devoto ad uso e consumo del Capo dello Stato. Che era successo di così imbarazzante? I minatori di Carbonia, con l’elmetto di sicurezza e la tuta anche in mezzo a cuoio e velluti della residenza ufficiale di Palomba, hanno consegnato il patentino di minatore a Scalfaro, il quale – non avendo mai usato un cacciavite in vita sua – con la mano sul cuore se la rideva, contento di fingere commozione di fronte all’omaggio di questi umili sudditi, senza lavoro e senza stipendio, ma pronti ad onorare l’ospitalità sarda. Sempre con il cappello in mano però, e lesti ad uscire per la porta di servizio per non disturbare. Non sono in discussione, ovviamente, né la tragedia della disoccupazione né i minatori del Sulcis. In discussione è l’immagine un po’ oleografica che si vuole dare, di una isola che non conosce altro che pietire un posto di lavoro in miniera, per padri, figli e magari nipoti per altri 50 anni, quasi che l’ultimo secolo sia passato invano sulle sofferenze dei sardi nelle gallerie, e sulla miseria di una Sardegna orgogliosa, ma anche povera e sfruttata da una rivoluzione industriale che nell’isola lasciava solo briciole e sottosviluppo.
Ed oggi? si aspettano come la manna dal cielo i 2000 miliardi di investimenti nella gassificazione del carbone Sulcis. Ma cosa ne rimarrà ai sardi? Un mucchio di buste paga, sino a quando?, e polvere nera, degrado ed inquinamento. Gli affamati “piccoli” poteri forti della Sardegna, cantieri e meccanica, sono però contenti, guadagneranno 100, forse 200 miliardi. Il resto è scontato che tornerà verso il nord, come è sempre stato e come si vuole che continui ad essere per sempre.
Anche il Galles aveva miniere di buon carbone non le pietre, la lignite e lo solfo del Sulcis, eppure negli anni ’80 subì una crisi devastante di fronte alla importazione di ottimo minerale a basso costo estratto fuori dalla Gran Bretagna ed al ridimensionamento del settore voluto dalla signora Thacher. Quella terra, nota sino allora solo per le miniere, ha saputo rinascere grazie ad una intelligente politica che favorisce gli investimenti delle imprese. Turismo e tecnologie avanzate hanno reso il Galles, e l’Irlanda, le regioni europee mitiche, che le multinazionali americane e giapponesi privilegiano dovendo effettuare un investimento in Europa, grazie ad agevolazioni fiscali, flessibilità del lavoro, costi bassi dei servizi.
Eppure la Sardegna ha potenzialità straordinarie che il Galles neppure si sogna. E’ ad esempio una bellissima terra, in un’epoca in cui la bellezza è la cosa più ricercata e pagata al mondo.
Perché il Galles sì e la Sardegna no? Il Galles ha saputo contrattare con il Governo centrale una vera autonomia che si esprime in fatti certi: tasse sugli utili aziendali al 31% che scendono al 21% per le piccole imprese con fatturato inferiore alle trecentomila sterline, basse tariffe per energia elettrica, combustibile e telecomunicazioni, costo del lavoro diretto inferiore a quello medio britannico e contributi sociali al 10%, un quarto di quelli italiani, normativa sul lavoro industriale tra le più semplici. Altro che 35 ore, in Galles non c’è alcun limite all’orario settimanale. E si è pagati in proporzione.
Ma su questa strada il governo dell’ulivo regionale non si muove. Perché preferisce accontentarsi del farraginoso meccanismo dei contratti d’area gestiti dai sindacati e concessi dal governo per limitatissime zone blindate. Perché trova più conveniente deviare l’attenzione su megaprogetti irrealizzabili e antieconomici quali la metanizzazione della Sardegna. Perché manca di capacità progettuale indirizzata ad impiegare i finanziamenti europei per migliorare le infrastrutture ed abbassare il costo dei servizi. Perché preferisce far fuggire gli imprenditori “nemici” in favore di capitale “amico”, perché è ostaggio dell’ecologismo estremistico e antiprogresso. Perché non sa neppure dove iniziare nell’investire nelle nuove tecnologie, abbandonate a materia di chiacchiere convegnistiche. Perché infine parla di negoziazione di un nuovo Statuto Autonomistico, ma solo per allontanare l’attenzione dei sardi dal disastro economico di questi ultimi anni.
L’orgoglio sardo e la voglia di autonomia sono stati calpestati tante volte, la vicenda dei trasporti è emblematica. Non si è mai avuta la forza di affrontare a muso duro uno scontro con lo Stato sulla politica dei trasporti di cui è monopolista. Ci si è accontentati delle promesse dei compagni di partito che siedono a Roma, smentite subito dopo il frettoloso rientro a Fiumicino. Ma certo, il vero autonomismo richiede coraggio e gesti forti, anche rischiosi, e potrebbe costare in termini di carriera politica.
E allora avanti con “su connottu”, giù in miniera come cento anni fa sotto lo sguardo commosso di Scalfaro. Per i propri figli la Sardegna non deve sperare altro. |