Nel suo Dizionario dei Luoghi Comuni Gustave Flaubert annotava le banalità che caratterizzano nei secoli il “ben pensare”. Alla voce Guerra scriveva: inveire contro.
Sovviene la facilità di quello slogan mentre a Roma sfilano i pacifisti italiani. Manifestano contro i bombardamenti della NATO in difesa delle popolazioni del Kosovo. Chiedono a gran voce il negoziato, vorrebbero lo stop della rappresaglia militare, perché la guerra è un male assoluto che non si può accettare.
Purtroppo, la guerra sporca è in onda da più di un anno, tra un esercito preponderante, considerato solo poco tempo fa il quarto al mondo, ed una popolazione contadina e disarmata, che vorrebbe il diritto all’autodeterminazione.
Non è in discussione l’orrore della guerra, ma il prezzo che vogliamo pagare per ottenere una pace duratura in Europa.
Dopo la caduta della potenza Sovietica e della ideologia su cui si fondava la sua coesione di Stato sovrano, ai più attenti non è sfuggito che un grande progetto strategico tenta di ridisegnare il vecchio continente europeo, a volte in sommessa polemica con gli USA.
Esso va ben al di là della naturale tendenza degli Stati Uniti a difendere la pax americana. Il progetto vuole dare all’Europa la prospettiva di un futuro finalmente in pace dopo secoli di guerre sanguinose, tutte combattute per conflitti ideologici ed etnici, terminate con il mostruoso olocausto della II guerra mondiale.
Le grandi democrazie occidentali di Francia, Germania e Gran Bretagna, una volta in conflitto sanguinoso, sono oggi, nella Unione Europea, le ispiratrici di questo disegno. 380 milioni di anime vivono già all’interno di un mercato interno europeo senza più confini.
Molti nostri giovani imparano a sentirsi a casa a Cagliari come a Francoforte. I matrimoni misti ed i bambini di doppia lingua madre testimoniano sempre più la tendenza verso una vera integrazione. La conoscenza delle lingue e la telematica diffusa aiutano ad abbattere le antiche barriere e le diffidenze.
Ma 320 milioni di cittadini europei sono estranei all’Unione: la Polonia, l’Ungheria, le nazioni della ex Iugoslavia, per citare solo alcuni Paesi che ci sono più vicini per storia e cultura. La stessa Russia ne è fuori, ma da Pietro il Grande in poi ha sentito forte il richiamo dell’appartenenza alla Europa, malgrado fosse l’unica nazione a cavallo di due continenti.
Democrazia imperfetta, mercati ancora primitivi, amministrazione pubblica al disservizio del cittadino impediscono oggi un’integrazione economica e domani un’unione politica con i paesi –si diceva una volta- situati aldilà della cortina di ferro. Le cancellerie del vecchio continente cercano a tutti i costi l’integrazione e pongono in essere politiche che la rimandano ad un futuro non troppo lontano.
Il cuore della Ue batte ad est. Milioni di Euro sono investiti ogni anno per facilitare la ricostruzione di un sistema democratico che l’ideologia comunista, dalla Rivoluzione di Ottobre in poi, ha distrutto.
Ma bisogna fare in fretta e ricostruire prima che gli spiriti primitivi della lotta di religione, di razza ed i nazionalismi, mai del tutto sopiti, possano nuovamente distruggere la speranza.
In questo panorama, Milosevic ed il mito della grande Serbia, la truce pulizia etnica e l’olocausto che tornano in Europa per la porta dei Balcani, rappresentano una tragica anomalia, ma soprattutto un grandissimo rischio. Che si risvegli la fratellanza slava in aiuto di una causa ingiusta, che si debba abbandonare ancora per un secolo la speranza di una pace in Europa, che il vecchio continente debba tornare ad essere fucina di orrori invece che di benessere e civiltà.
Un grande sogno diventato quasi realtà, progettato da uomini che hanno legato per sempre il loro nome alla ricostruzione dopo le rovine della guerra, rischia di franare per la violenza irresponsabile di pochi.
Pertanto il prezzo che Milosevic paga per le stragi in Kosovo deve essere altissimo, tanto da dissuadere ogni suo emulo dal tentare la stessa strada. I bombardamenti progressivi della NATO mirano a questo. Il dittatore dei Balcani rischia di governare –ancora per poco- su un Kosovo deserto e bagnato di sangue ed a capo della Serbia, ormai ridotta in macerie.
Ma pure alto sarà il prezzo che dovremo pagare tutti per far conoscere ai nostri figli una Europa in pace.
In passato, il pacifismo a buon mercato, i pavidi accordi di Monaco, l’appeasement di fronte ai violenti ci hanno regalato molta sofferenza.
La pace è troppo preziosa perché si debba avere paura nell’ottenerla. |